I vini spumanti campani pronti a diventare la “next big thing” della viticoltura italiana
La categoria dei vini spumanti sta vivendo un momento di straordinaria popolarità a livello mondiale al punto che lo Champagne e il Prosecco faticano a tenere il passo con l’insaziabile domanda del mercato. La ricerca di nuove ed entusiasmanti opzioni da parte dei consumatori offre alle regioni con volumi di produzione limitati un’opportunità d’oro per catturare la loro attenzione. Una di queste regioni, la Campania, si distingue per la sua interpretazione distintiva dei vini spumanti, profondamente legata all’autenticità dei vitigni autoctoni. Grazie al suo potenziale di offrire un’esperienza davvero originale e allettante, la Campania è pronta ad attirare un riconoscimento e un interesse crescenti nei prossimi anni, sia a livello nazionale che internazionale.
In una conversazione esclusiva con l’Assessore all’Agricoltura della Regione Campania, Nicola Caputo, ci addentriamo nell’affascinante mondo dell’industria vinicola campana. Dalla scoperta dei tesori nascosti della regione alla discussione sulle recenti tendenze della produzione vinicola, esploriamo le qualità uniche che contraddistinguono la Campania. Inoltre, l’Assessore Nicola Caputo evidenzia il ruolo vitale dell’agricoltura sostenibile nella regione e sottolinea il potenziale che i vini spumanti campani offrono ai consumatori più esigenti in cerca di esperienze eccezionali.
Come si differenziano gli spumanti campani dagli altri spumanti italiani, come il Prosecco o il Franciacorta?
Gli spumanti campani si differenziano dagli altri spumanti italiani principalmente per le uve utilizzate: tutti vitigni autoctoni nativi della Campania. Il panorama di produzione spumantistica della Campania è piuttosto frammentato, poiché non sussiste all’interno della regione una specifica area fortemente vocata, come nel caso della Franciacorta per la Lombardia o del Prosecco per il Veneto. Tuttavia, si può parlare di una lontana tradizione spumantistica campana, facendo riferimento alla zona dell’Agro Aversano dove esistono testimonianze di spumanti prodotti nell’Ottocento da uve Asprinio, vitigno autoctono di origine etrusca. In epoca più recente le spumantizzazioni, soprattutto con metodo Martinotti, hanno visto una sempre crescente diffusione. Per quanto riguarda il metodo classico, esistono però delle solide realtà che già da decenni hanno portato Falanghina, Greco, Fiano e Aglianico sul mercato in versione spumante.
Quali vitigni campani stanno attualmente vivendo una crescita di popolarità e perché?
La produzione enologica della Campania sta riscuotendo un crescente successo soprattutto per i suoi vini bianchi di qualità, rappresentati dalle DOCG e DOC da uve Falanghina, Greco e Fiano. A questi si aggiungono vitigni minori, come l’Asprinio, la Coda di Volpe, il Pallagrello bianco, il Biancolella e le uve della Costa d’Amalfi, che sono oggetto di attenzione da parte dei winelovers sempre alla ricerca di autenticità territoriale e di piccole produzioni artigianali. La ragione del successo di questi vini è il loro stretto legame col territorio, in particolare per i vini dai suoli vulcanici, e la capacità di essere adatti ad un consumo trasversale per via delle loro caratteristiche intrinseche di piacevolezza e versatilità a tavola. Per quanto riguarda i vini rossi, quest’anno ricorrono i 30 anni della DOCG Taurasi, emblema di eccellenza enologica legato all’Aglianico, che ancora oggi è riconosciuto tra i grandi vini da invecchiamento anche a livello internazionale.
Può parlarci di recenti innovazioni o tendenze nella produzione di spumanti campani?
La principale tendenza con riferimento alla produzione di spumanti in Campania, è in realtà qualcosa di consolidato in tutta l’enologia campana, ovvero un forte legame della produzione con il territorio, prediligendo i vitigni autoctoni a quelli internazionali, nonostante questi abbiano una maggiore notorietà presso i consumatori. Ritengo che questa scelta da parte dei viticoltori campani affermi, con ancora più forza, il profondo legame tra la storia della viticoltura della nostra regione e la possibilità di fare vini di qualità, capaci di incontrare i gusti del consumatore di oggi, differenziandosi rispetto alle altre aree di produzione vinicola.
In che modo i viticoltori campani conservano i metodi tradizionali di produzione dello spumante adattandosi anche alle tecniche moderne?
Come dice la parola stessa, il Metodo Classico si fa quasi nello stesso modo da oltre 300 anni, quindi le tecniche moderne non stravolgono il metodo, ma possono solo permettere di controllare meglio alcune fasi della produzione e fornire maggiori alternative per dare sfumature interpretative diverse ai vini, come ad esempio nel caso dei tappi corona dalla diversa permeabilità, utilizzati per la rifermentazione in bottiglia. Ogni azienda adatta il suo percorso in relazione ai risultati che vuole ottenere, e lo stesso vale per chi fa Metodo Martinotti. Sono ancora presenti, considerato il recente successo presso un certo tipo di pubblico, anche alcune produzioni con metodo ancestrale e sur lie, i cosiddetti pétillant naturel.
Può parlarci di particolari sfide che i produttori di spumante campani stanno attualmente affrontando?
La principale sfida per i produttori di spumanti campani è quella che accomuna in generale tutti i produttori di vino della nostra regione, ovvero rafforzare la notorietà e la percezione del proprio brand presso il pubblico dei winelovers, sia in Italia che all’estero. In questo, chiaramente i piccoli produttori fanno più fatica ad accedere a strumenti di promozione sui mercati internazionali, e hanno bisogno dei Consorzi che hanno il compito fondamentale di aggregare i produttori e di sostenerli nelle attività promozionali. È necessario fare sistema per rendere sempre più riconoscibile la Campania come regione di eccellenza della produzione enologica Made in Italy.
Può consigliarci qualche spumante specifico per i consumatori che vorrebbero scoprire i vini campani e vorrebbero esplorare le offerte della regione?
La produzione degli spumanti della regione Campania non è molto ampia, ma è decisamente di qualità ed è basata su vitigni autoctoni, quindi suggerirei ai consumatori che desiderano scoprire l’offerta spumantistica della nostra regione, di chiedere consigli ai sommelier e agli enotecari di loro fiducia. Ma soprattutto suggerirei ai consumatori di venire in Campania per scoprire la bellezza e soprattutto la diversità dei nostri vigneti, che vanno dal mare alla montagna e al vulcano, con forme di allevamento spesso arcaiche e uniche al mondo. In questo modo potrebbero degustare i nostri vini in abbinamento ai tanti prodotti DOP che solo la Campania può vantare al mondo, come la Mozzarella di Bufala, il Pomodoro San Marzano, il Caciocavallo Silano, la Colatura di alici di Cetara e tanti altri, per non parlare della pizza napoletana.
C’è una tendenza verso la produzione di vini biologici, biodinamici e naturali in Campania?
In Campania, come in tutta Italia, c’è una sempre maggiore attenzione verso un’agricoltura responsabile e sostenibile. Il tema del biologico è un tema di agricoltura molto sentito, che vede impegnati numerosi viticoltori nel processo di conversione per la certificazione dei propri vigneti. È evidente che il cambiamento climatico rappresenta una sfida per chi decide di adottare pratiche agronomiche bio, perché cresce il rischio di malattie dovute a parassiti e funghi, ma l’impegno dei nostri produttori è massimo proprio per garantire la completa salubrità dei vini prodotti. Diversa è la moda del vino naturale, qualsiasi cosa questo termine possa ancora significare, visto che si tratta più di un concetto di marketing che di agricoltura responsabile: una moda che resta destinata ad una nicchia di consumatori.
Come vede l’evoluzione delle tecnologie enologiche sostenibili in Campania e quale ruolo secondo lei avranno nel futuro dell’industria del vino?
L’enologia sostenibile è un obiettivo importante per la produzione della Campania, come lo è in realtà – in senso più ampio – tutta la sostenibilità della produzione agricola regionale. Il futuro della trasformazione dei prodotti dell’agricoltura passa per scelte sempre più consapevoli, legate nono solo alla sostenibilità dell’agricoltura stessa, ma anche della filiera: dalle scelte ecosostenibili legate al packaging, alla scelta di fonti energetiche sempre più green per tutte le attività produttive, verso il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi europei della Carbon Neutrality.
Come vede il futuro della produzione spumantistica campana e cosa possiamo aspettarci di osservare nei prossimi anni?
La categoria degli spumanti sta vivendo un momento di grande popolarità a livello mondiale, basta guardare le performance di Champagne e Prosecco che con le loro produzioni sembrano non riuscire a soddisfare tutta la domanda del mercato. In questo senso, per la spumantistica campana si evidenziano delle opportunità per il futuro, perché di fronte alla carenza in termini di volumi di alcune produzioni di altre regioni, il consumatore potrebbe essere invogliato a scoprire le produzioni di altri territori. La Campania in questo potrebbe rappresentare un’originale interpretazione radicata nell’autenticità di vitigni autoctoni dal grande potenziale.
Come vede l’ospitalità del Concours Mondial de Bruxelles a vantaggio dell’industria vinicola campana, sia a breve che a lungo termine?
Abbiamo fortemente voluto la presenza del Concours Mondial de Bruxelles nella nostra regione, perché ospitare un concorso internazionale di questa portata è un’occasione per far conoscere alla giuria di buyer ed esperti non solo le potenzialità della produzione enologica campana, ma anche la bellezza dei suoi territori. La Campania è visitata ogni anno da milioni di turisti che la frequentano per un’offerta davvero unica, che spazia dai tesori culturali e architettonici al paesaggio, al mare e all’enogastronomia. Auspichiamo che anche la produzione vinicola campana rientri sempre più tra le scelte dei visitatori appassionati di enoturismo, come già avviene in altre regioni italiane.
Cosa pensa che contraddistingua la Campania come regione vinicola, e in che modo il Concours Mondial de Bruxelles aiuta a mostrare questa unicità?
La Campania è una regione vinicola caratterizzata soprattutto da due aspetti: un forte legame tra il vitigno e il territorio, con una prevalenza assoluta delle varietà autoctone regionali – che si esprimono con differenti sfumature nei diversi territori per suoli e microclimi – e una grande sinergia tra la produzione enologica di qualità e gli altri prodotti di eccellenza della ricca tradizione gastronomica della nostra regione. Questo aspetto è decisamente unico e si unisce al fascino di una terra che presenta destinazioni celebri in tutto il mondo, come la Costiera Amalfitana, la Reggia di Caserta, Capri e Ischia, Pompei e Napoli col Vesuvio.
Che tipo di messaggio spera di trasmettere al mondo sull’industria vinicola campana ospitando il Concours Mondial de Bruxelles?
Il messaggio che vogliamo dare ospitando il Concours Mondial de Bruxelles è molto semplice: la produzione vinicola campana è un tesoro ancora da scoprire, una produzione di qualità e non di grandi volumi come quelle di altre regioni. Quella del vino campano è una storia fatta di uomini e territori, piccole realtà che in Francia chiamerebbero “di vignerons”, e pur con una lunghissima tradizione, i vini campani sono attualissimi: tra bianchi caratterizzati da piacevolezza e mineralità, bollicine autoctone affascinanti e nuove interpretazioni dei rossi, in chiave sempre più contemporanea. In sostanza, la Campania potrebbe essere la “next big thing” della produzione enologica italiana e il Concours Mondial de Bruxelles vuole essere una prima vetrina per annunciarlo agli operatori del settore.
Un’intervista di Valentina Phillips